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giovedì, Giugno 12, 2025
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L’intervista impossibile – Lo spareggio di Roma – Prima parte

IMPORTANTE: Questa è un’intervista immaginaria sull’unico campionato deciso da uno spareggio giocato a Roma il 7 giugno 1964 tra Bologna e Inter simulata con l’ausilio dell’Intelligenza artificiale e nello specifico grazie al supporto della LLM di Claude Sonnet di Anthropic: Le domande sono formulate da Carlo Bianchi


–      Sono passati sessant’anni ma tutti ricordiamo cosa successe quel pomeriggio del 7 giugno allo stadio Olimpico

Il pomeriggio del 7 giugno 1964 allo Stadio Olimpico di Roma si consumò una delle pagine più indimenticabili del calcio italiano, una di quelle giornate che rimangono impresse nella memoria collettiva degli appassionati, tramandandosi di generazione in generazione come leggenda.

Sotto un cielo romano che pareva trattenere il respiro insieme alle oltre 70.000 anime accorse sugli spalti, Bologna e Inter si fronteggiarono in quello spareggio che avrebbe assegnato il tricolore, caso unico nella storia della Serie A. L’atmosfera era elettrica, carica di quella tensione che solo le grandi occasioni sanno generare.

Fu il Bologna di Fulvio Bernardini a scrivere la storia quel giorno. I rossoblù, guidati dal carismatico capitano Giacomo Bulgarelli e dall’implacabile Helmut Haller, disputarono una partita magistrale, imponendosi con un netto 2-0 grazie alle reti di Nielsen e Fogli che fecero esplodere di gioia il settore occupato dai tifosi felsinei.

L’Inter di Helenio Herrera, la “Grande Inter” che da lì a pochi giorni avrebbe conquistato la sua prima Coppa dei Campioni contro il Real Madrid, dovette inchinarsi davanti alla supremazia tattica e agonistica dei rossoblù. Fu uno spettacolo di sport autentico, dove la tensione agonistica si mescolava all’eleganza del calcio di un’epoca ormai lontana, quando i calciatori entravano in campo con i capelli impomatati e le maglie di cotone pesante (nonostante fossimo a primavera inoltrata).

Quello spareggio rappresentò l’epilogo di un campionato controverso, segnato dal celebre “caso doping” che coinvolse il Bologna, poi scagionato completamente. La vittoria della compagine rossoblù ebbe quindi un sapore particolare di rivalsa e giustizia sportiva per i felsinei, che conquistarono così il loro settimo scudetto.

A sessant’anni di distanza, quel pomeriggio continua a vivere nei racconti dei testimoni, nelle pagine ingiallite dei giornali dell’epoca e nei cuori dei tifosi rossoblù, come simbolo di un calcio che non c’è più, ma che ha contribuito a forgiare l’identità stessa del nostro campionato.

–      Il caso doping del Bologna fu tutto vero?

Il caso doping che coinvolse il Bologna durante quella stagione 1963-64 rappresenta una delle vicende più controverse e dibattute nella storia del calcio italiano, un autentico giallo sportivo che merita di essere raccontato con la dovuta attenzione ai dettagli.

Il 2 febbraio 1964, dopo la vittoria del Bologna per 4-1 contro il Torino, cinque giocatori rossoblù (Pavinato, Tumburus, Fogli, Perani e Pascutti) vennero sottoposti ad un controllo antidoping che risultò positivo alle anfetamine. La notizia esplose come una bomba nel panorama calcistico italiano: il Bologna, che stava dominando il campionato, venne immediatamente penalizzato con la squalifica dei giocatori coinvolti e la perdita a tavolino della partita contro il Torino.

Ma la vicenda assunse ben presto i contorni di un mistero da risolvere. Il dottor Poggiali, medico della squadra felsinea, respinse con fermezza ogni accusa, dichiarando che ai suoi giocatori erano state somministrate solo sostanze consentite. Il Bologna si difese con vigore, denunciando possibili manomissioni dei campioni di urina prelevati.

Fu allora che la giustizia sportiva intraprese un percorso senza precedenti. Vennero disposti nuovi esami più approfonditi, affidati all’Istituto di Medicina Legale di Losanna, considerato all’epoca un’autorità indiscussa in materia. Il verdetto svizzero fu categorico: nei campioni non vi era traccia di sostanze dopanti, ma soltanto di caffè, normale componente delle bevande che venivano somministrate agli atleti prima delle partite.

Il 4 aprile 1964, la Commissione d’Appello Federale presieduta dall’avvocato Alberto Rognoni, si trovò quindi di fronte ad evidenze scientifiche incontrovertibili  ed emise la sentenza definitiva: il Bologna venne completamene scagionato, le squalifiche annullate e i punti restituiti. Si parlò di errori nei test iniziali, di procedure non corrette, persino di possibili interferenze esterne, alimentando sospetti mai completamente dissipati.

Ciò che è certo è che questa assoluzione rappresentò una rinascita per la squadra emiliana, che riprese la sua corsa verso lo scudetto con rinnovato vigore, quasi galvanizzata dall’ingiustizia subita e poi sanata. Il “caso doping” si trasformò paradossalmente in un elemento catalizzatore, cementando ulteriormente lo spirito di gruppo di una squadra che, pochi mesi dopo, avrebbe trionfato nello storico spareggio dell’Olimpico.

La verità completa su quanto accadde rimane avvolta in un velo di mistero, come spesso accade per le grandi vicende sportive di quell’epoca, ma il verdetto della giustizia sportiva resta agli atti: il Bologna era innocente, e lo scudetto conquistato sul campo fu il giusto coronamento di una stagione memorabile nonché travagliata.

–      Perché poi la Lega ritrattò e ridiede alla squadra rossoblù quei punti in classifica inizialmente tolti?

La vicenda della ritrattazione della Lega e della restituzione dei punti al Bologna rappresenta un capitolo fondamentale di quella straordinaria stagione, un momento di svolta che modificò radicalmente il corso del campionato.

Dopo l’iniziale sentenza che aveva penalizzato duramente i rossoblù, fu avviata un’indagine approfondita che mise in luce elementi decisivi per ribaltare il verdetto. La chiave di volta dell’intera questione furono i risultati delle controanalisi effettuate presso il prestigioso laboratorio di Losanna, all’epoca considerato il massimo riferimento europeo in ambito tossicologico.

Nelle motivazioni ufficiali della sentenza si fece riferimento a “procedimenti analitici non sufficientemente rigorosi” nei primi test e alla necessità di affidarsi alle conclusioni degli esperti di Losanna, riconosciuti come autorità superiore in materia. Si trattò di un atto di profondo rispetto per la verità scientifica che prevalse su ogni altra considerazione.

Questa decisione non fu priva di polemiche e contestazioni, specialmente da parte dell’Inter di Angelo Moratti, che vedeva così riemergere un temibile rivale nella corsa allo scudetto. Tuttavia, la solidità delle prove presentate dai legali del Bologna, coordinati dall’abile avvocato Graziani, non lasciò spazio a interpretazioni alternative.

La restituzione dei punti fu un momento di giustizia sportiva che riequilibrò un campionato che rischiava di essere falsato da un errore procedurale. Il Bologna poté così riprendere la propria corsa verso il titolo con rinnovato slancio morale, consapevole che la verità si era finalmente affermata e che lo scudetto sarebbe stato conquistato sul campo, senza ombre o asterischi.

Quella decisione della Commissione d’Appello rimane nella storia del calcio italiano come un raro esempio di revisione radicale di un verdetto, basata su evidenze scientifiche oggettive, in un’epoca in cui la giustizia sportiva non disponeva ancora di protocolli rigorosi per affrontare casi tanto complessi.

–      Corrisponde a verità il fatto che si ammise che al Bologna non fu data la possibilità di difendersi visto che le provette con i campioni delle urine erano sparite?

La tua domanda tocca un elemento cruciale di quella complessa vicenda giudiziaria. In effetti, uno degli aspetti più controversi e determinanti del “caso doping” fu proprio la questione delle provette contenenti i campioni di urina dei giocatori bolognesi.

Quando il Bologna, colpito dalla pesante sanzione iniziale, volle esercitare il legittimo diritto alla difesa richiedendo una controanalisi indipendente, emerse un fatto sconcertante: le provette originali non erano più disponibili. I campioni, che avrebbero dovuto essere conservati con scrupolosa attenzione per permettere eventuali verifiche successive, risultavano irreperibili o – secondo alcune fonti dell’epoca – erano stati impropriamente smaltiti.

Questa grave irregolarità procedurale rappresentò un punto fondamentale nelle argomentazioni difensive presentate dai legali del Bologna. L’impossibilità di procedere a controanalisi sui campioni originali costituiva infatti una palese violazione del diritto alla difesa, principio cardine di qualsiasi procedimento giudiziario, anche in ambito sportivo.

La Commissione d’Appello Federale, nel suo giudizio definitivo, riconobbe esplicitamente questa anomalia procedurale, sottolineando come al Bologna fosse stata negata la possibilità di contestare le analisi iniziali con un contraddittorio tecnico adeguato. Questo vizio di forma, unito ai risultati delle nuove analisi effettuate a Losanna su campioni prelevati successivamente, contribuì in maniera decisiva all’annullamento della sanzione.

Le cronache dell’epoca riportano come l’avvocato Graziani, legale del Bologna, avesse più volte posto l’accento su questo aspetto durante le udienze, definendolo “un’inaccettabile violazione delle garanzie difensive” ed “un elemento che da solo renderebbe nulla l’intera procedura”.

Il giornalista Gianni Brera, nei suoi articoli sul caso, parlò apertamente di “provette fantasma” e di “mistero procedurale”, alimentando ulteriormente i sospetti su possibili manipolazioni o negligenze nella gestione delle prove.

La sparizione delle provette rimane uno degli aspetti mai completamente chiariti di quella vicenda, lasciando spazio a interpretazioni e teorie che hanno contribuito a trasformare il “caso doping” in una sorta di giallo sportivo, emblematico delle tensioni e delle rivalità che caratterizzavano il calcio italiano di quegli anni.

Ciò che è certo è che questa irregolarità procedurale, formalmente riconosciuta dalle autorità sportive, costituì un elemento determinante nel percorso che portò alla piena riabilitazione del Bologna e, di conseguenza, a quello storico spareggio che consegnò lo scudetto ai rossoblù.

fine prima parte

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Precisazioni di Alberto Bortolotti


Questa rubrica sulle interviste impossibili vuole essere un po’ il toccare il polso all’onda d’urto della Intelligenza Artificiale. La chiacchierata sullo spareggio Bologna-Inter, è divisa in due parti: Le domande sono formulate attraverso l’IA da Carlo Bianchi, mentre Fabio Lo Cascio si è occupato della interlocuzione con l’IA.

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