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Pensi che senza quella tragedia il Torino avrebbe dominato ancora per anni la scena nazionale?
Questa è una riflessione molto interessante e anche commovente. Il Grande Torino era una squadra nel pieno della sua maturità agonistica quando avvenne la tragedia, con un’età media relativamente giovane.
Considerando alcuni fattori chiave, è molto probabile che il dominio granata sarebbe continuato ancora per diversi anni:
– La squadra aveva un nucleo consolidato di giocatori che si conoscevano perfettamente
– Molti elementi chiave erano nel pieno della loro carriera (Mazzola aveva solo 30 anni)
– L’organizzazione societaria era all’avanguardia per l’epoca
– Il settore giovanile era florido e ben strutturato
– Il “sistema Torino” era difficilmente contrastabile dalle altre squadre
È probabile che quel Torino avrebbe potuto dominare almeno fino alla metà degli anni ’50, considerando anche che la grande Juventus e il grande Milan dovevano ancora nascere.
C’è però un aspetto ancora più profondo da considerare: quella tragedia non ha solo interrotto il dominio di una squadra, ma ha spezzato un’evoluzione tattica e tecnica del calcio italiano. Il Grande Torino stava sviluppando un modello di gioco che era estremamente innovativo e che probabilmente avrebbe influenzato tutto il calcio europeo
È interessante notare come dopo Superga il calcio italiano abbia preso una direzione diversa, più difensiva e tattica, quasi l’opposto dello spirito offensivo e spettacolare del Grande Torino. È come se con quella squadra fosse scomparsa anche una certa idea di calcio.
Pensi che la Nazionale italiana che si avvaleva di gran parte di quei giocatori avrebbe recitato ben altro ruolo nel Mondiale in Brasile del 1950?
Senza dubbio! È una delle grandi “sliding doors” della storia del calcio italiano. La Nazionale del 1950 fu profondamente condizionata dalla tragedia di Superga, che privò l’Italia di quello che era praticamente il suo scheletro portante.
Ricordiamo che in una famosa partita contro l’Ungheria nel 1947, la Nazionale italiana schierava ben 10 giocatori su 11 del Grande Torino. Questo dato dà l’idea di quanto quella squadra fosse la spina dorsale dell’Italia calcistica.
Per il Mondiale del 1950 in Brasile, l’Italia si presentò con una squadra completamente rivoluzionata e, cosa significativa, decise di arrivare in nave proprio per il trauma ancora fresco della tragedia aerea. Questo lungo viaggio influì anche sulla preparazione fisica della squadra.
Con i giocatori del Grande Torino, l’Italia avrebbe avuto:
– Un gruppo consolidato e affiatato
– Giocatori nel pieno della maturità agonistica
– Un sistema di gioco collaudato e efficace
– Leaders carismatici come Mazzola
– Una mentalità vincente
È molto probabile che quella Nazionale avrebbe potuto competere per la vittoria finale, considerando anche che molti di quei giocatori avevano già esperienza internazionale e avevano dimostrato di poter tenere testa alle migliori squadre europee.
Invece, l’Italia fu eliminata già nella fase a gironi, segnando l’inizio di un periodo difficile per la Nazionale, che dovette praticamente ricostruirsi da zero.
C’è una riflessione amara: il calcio italiano ha dovuto aspettare gli anni ’60 per ritrovare una Nazionale veramente competitiva a livello internazionale. La tragedia di Superga non ha solo spezzato una squadra di club, ma ha interrotto anche un percorso di crescita della Nazionale che appariva molto promettente.
Io trovo che questa sia una delle più grandi “what if” (cosa sarebbe successo se…) della storia del calcio italiano.
E’ vero che un giovane Kubala che si allenava con loro decise all’ultimo per volontà della moglie di non partecipare a quella trasferta?
Sì, questa è una delle storie più intense e toccanti legate alla tragedia di Superga, uno di quei casi in cui il destino gioca un ruolo decisivo nella vita delle persone.
László Kubala, grande talento ungherese che poi divenne una leggenda del Barcellona, in quel periodo si stava allenando con il Grande Torino. La squadra granata era interessata a lui e lo aveva invitato a partecipare alla trasferta di Lisbona per l’amichevole contro il Benfica.
Fu sua moglie Anna a convincerlo a non partire. Secondo i racconti, lei aveva avuto un presentimento, una sorta di premonizione. Insistette molto affinché il marito non salisse su quell’aereo. Kubala, ascoltando le preoccupazioni della moglie, decise di rinunciare al viaggio.
Questa decisione gli salvò letteralmente la vita. È uno di quei momenti in cui una scelta apparentemente ordinaria diventa determinante per il destino di una persona. Kubala poi ebbe una carriera straordinaria nel Barcellona, diventando uno dei più grandi giocatori della storia del club catalano.
C’è qualcosa di profondamente emozionante in questa storia: il presentimento di una donna che salva la vita al marito, il sottile confine tra destino e casualità, la dimensione umana che va oltre il calcio.
È interessante notare come questa storia sia diventata parte del mito del Grande Torino, uno dei tanti “se” che rendono ancora più commovente e profonda questa tragedia.
Colpisce il fatto che spesso sono i piccoli dettagli, le decisioni apparentemente insignificanti, a determinare il corso della vita.
Come ti spieghi che la società non sia stata ancora capace di allestire un Museo alla memoria che solo dei privati hanno aperto a Grugliasco?
Questa è una domanda che tocca un punto davvero delicato e, per certi versi, incomprensibile della storia granata. La mancanza di un museo ufficiale della società dedicato al Grande Torino rappresenta una lacuna significativa nella memoria storica del calcio italiano.
È sorprendente che una società con una storia così gloriosa non abbia ancora realizzato un museo ufficiale dedicato a quella squadra leggendaria. Questo potrebbe essere legato a vari fattori:
– Le diverse gestioni societarie che si sono succedute negli anni non hanno forse compreso appieno il valore storico e culturale di questo patrimonio
– Problemi di carattere economico e organizzativo
– La difficoltà di reperire cimeli e materiali originali dell’epoca
– La mancanza di una sede definitiva e adeguata (dopo la demolizione del vecchio Filadelfia)
È significativo che siano stati dei privati a Grugliasco a creare il “Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata“. Questo dimostra come la memoria di quella squadra sia stata preservata più dal basso, dalla passione dei tifosi e degli appassionati, che non dalle istituzioni calcistiche ufficiali.
La cosa più sorprendente è che il Grande Torino non è solo patrimonio della società granata, ma dell’intero calcio italiano. Un museo ufficiale potrebbe essere un luogo di memoria collettiva, di educazione per le giovani generazioni e di preservazione di una storia che va oltre lo sport.
È interessante notare come altre società calcistiche italiane ed europee abbiano investito molto sui loro musei societari, comprendendone il valore non solo storico ma anche culturale e turistico.
Io penso che questa sia una grande occasione mancata per il Torino e per tutto il calcio italiano.
Grazie Claude come sempre é stato molto interessante e addirittura emozionante discutere con te di quel calcio “sentimentale” che non c’è più.
Sono io che ringrazio te. Alla prossima.
Questa rubrica sulle interviste impossibili vuole essere un po’ il toccare il polso all’onda d’urto della Intelligenza artificiale: Ci avvaliamo della IA sviluppata da Claude nella versione 3.5 Sonnet. La chiacchierata sul Grande Torino è divisa in due parti: Le domande sono formulate da Carlo Bianchi mentre Fabio Lo Cascio si è occupato della interlocuzione con Claude.
Didascalie:
Copertina del Calcio Illustrato del 14 maggio 1949 n° speciale 119 bis