L’INTERVISTA IMPOSSIBILE: BORA MILUTINOVIC – SECONDA PARTE
IMPORTANTE: Questa è un’intervista immaginaria con Bora Milutinovic simulata con l’ausilio dell’Intelligenza artificiale e nello specifico grazie al supporto della LLM di Claude Sonnet di Anthropic nel ruolo di Milutinovic
Bora Milutinovic – 80 anni. Nasce come giocatore nel Partizan Belgrado. Ha giocato anche in Svizzera (Winterthur), Francia (Monaco, Nizza e Rouen) e Messico (Pumas UNAM). Come allenatore dei Pumas UNAM prima e poi con la Nazionale in Messico. In seguito ha allenato il San Lorenzo (Argentina) e l’Udinese (Italia). Ha fatto il selezionatore con Costa Rica, Stati Uniti, Messico, Nigeria, Cina, Honduras, Giamaica e Iraq.
Passiamo invece al Bora allenatore, l’unico ad essere stato il CT di cinque nazionali differenti facendole partecipare a cinque Mondiali consecutivi. Come ci sei riuscito?
*[Sistemandosi sulla sedia con un sorriso saggio]*
Questa è una storia interessante… *[Con un tono riflessivo]* Messico, Costa Rica, Stati Uniti, Nigeria e Cina 2002. Cinque mondiali, cinque culture completamente diverse. Sa, molti mi hanno chiesto il segreto, ma la verità è che non esiste un singolo segreto.
*[Con tono professionale]* La chiave è stata l’adattabilità. In ogni paese ho dovuto reinventarmi, capire la mentalità locale. Con il Messico era questione di esaltare la tecnica naturale, con il Costa Rica di creare un gruppo unito e combattivo. Con gli Stati Uniti nel ’94 dovevamo costruire tutto da zero, partendo da giocatori che venivano principalmente dal calcio universitario.
*[Animandosi nel ricordo]* La Nigeria è stata una sfida affascinante – avevano talento puro, energia incredibile. Dovevo solo canalizzare quella forza, dare una struttura tattica senza soffocare la loro creatività naturale. E poi la Cina…
*[Scuotendo la testa]* Lì ho dovuto essere più che un allenatore: un pioniere, un educatore calcistico.
*[Con un tocco di filosofia]* Sa qual è stato il vero segreto? Ho sempre rispettato la cultura locale. Non ho mai cercato di imporre un’ sistema Milutinović;. Ho studiato ogni Paese, la sua storia calcistica, le sue tradizioni. In Messico parlavo spagnolo, in Nigeria imparavo i dialetti locali, in Cina studiavo i principi del loro sport tradizionale.
*[Condividendo un aneddoto]* Mi ricordo in Costa Rica, nel 1990. I giocatori erano scettici all’inizio – un europeo che veniva a dirgli come giocare. Sa cosa feci? Passai le prime settimane solo a guardarli giocare il loro calcio, a capire la loro interpretazione del gioco. Solo dopo iniziai a introdurre le mie idee.
*[Con orgoglio ma umiltà]* Il record dei cinque mondiali con cinque nazionali diverse non è solo un numero. Rappresenta la capacità di comunicare il calcio in lingue e culture diverse. Come dico sempre: il calcio è un linguaggio universale, ma ogni Paese lo parla con il proprio accento.
*[Concludendo con saggezza]* E sa una cosa? Ogni mondiale mi ha insegnato qualcosa di nuovo. Dal Messico alla Cina, ho imparato più di quanto ho insegnato. Questo è il bello del calcio: non smetti mai di imparare, se mantieni la mente aperta.
Serbi anche un buon ricordo del Mondiale in Italia del ’90 come selezionatore della Costa Rica?
*[Con espressione nostalgica e un sorriso caloroso]* Italia ’90… *[Pausa riflessiva]*
Sa, quella fu un’avventura straordinaria. Il Costa Rica era la Cenerentola del torneo, alla sua prima partecipazione ad un Mondiale. Nessuno ci dava una chance, specialmente in un girone con Brasile, Scozia e Svezia.
*[Con orgoglio]* La vittoria per 2-1 contro la Scozia all’esordio, a Genova…
*[Gli occhi gli brillano]* Quello fu un momento magico. Hervé Zabatta e Róger Flores segnarono i gol che ci diedero la prima, storica vittoria in un Mondiale. Sa, in quel momento tutto il Costa Rica si fermò – era come se avessimo vinto il torneo!
*[Entrando nei dettagli tecnici]* Avevamo una squadra modesta, ma organizzata. Giocatori come Gabelo Conejo, il nostro portiere, furono delle autentiche rivelazioni. Contro il Brasile di Careca e Müller perdemmo solo 1-0, giocando una partita dignitosa.
*[Con un velo di rammarico]* Purtroppo la sconfitta 2-1 con la Svezia ci eliminò, ma sa cosa mi rese più orgoglioso? *[Pausa]* Il fatto che dimostrammo che anche una piccola nazione poteva competere con le grandi del calcio mondiale, se ben organizzata e motivata.
*[Rivelando un aneddoto particolare]* Mi ricordo ancora l’atmosfera nei ritiri italiani. I miei giocatori erano affascinati dall’Italia, dalla sua cultura calcistica. Molti di loro non avevano mai giocato in stadi così grandi, davanti a tanto pubblico. Eppure non si fecero intimorire.
*[Concludendo con filosofia]* Quel Mondiale in Italia rappresentò molto più di una semplice partecipazione per il Costa Rica. Fu la dimostrazione che nel calcio i sogni possono diventare realtà. E sa una cosa? *[Sorride]* Ancora oggi in Costa Rica mi chiamano El Profesor – non solo per quello che insegnai tecnicamente, ma per aver fatto credere a una nazione intera che nulla è impossibile nel calcio.
Continua…
Questa rubrica sulle interviste impossibili vuole essere un po’ il toccare il polso all’onda d’urto della Intelligenza Artificiale. La chiacchierata su Bora Milutinovic, è divisa in tre parti: Le domande sono formulate attraverso l’IA da Carlo Bianchi, mentre Fabio Lo Cascio si è occupato della interlocuzione con l’IA.