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Juve, ci vuole uno psicologo

8 NOVEMBRE 2025

Juve, ci vuole uno psicologo

Le ultime prestazioni della Juve hanno confermato un indizio che si era fatto strada durante tutta la gestione Tudor: la squadra è bloccata psicologicamente e ha necessità di una sorta di elettroshock per poter esprimersi al meglio delle sue possibilità (sempre tenendo conto che i bianconeri non possono competere, almeno per il momento, con le superpotenze calcistiche).
In altri termini, la Juve non agisce, reagisce e comincia a giocare solo quando la situazione è “disperata” e non c’è più nulla da perdere. Una volta spentasi la “spinta emotiva”, tornano i fantasmi e l’incapacità assoluta di gestire il risultato.
Si ponga attenzione alle illusorie gare con Inter e Borussia Dortmund: le prestazioni sono state nel complesso insufficienti, eppure sono state esaltate dalla stampa (creando false aspettative nella tifoseria bianconera).
Purtroppo, molto spesso, il risultato orienta in maniera decisiva i giudizi e al contempo distoglie l’attenzione dalla realtà.
Ebbene, Inter e Borussia hanno dominato quelle partite e avrebbero meritato di portarle a casa, ma proprio nel momento in cui la Juve sembrava spacciata (a una manciata di minuti dalla fine), si è registrata una reazione d’orgoglio (o della disperazione) che, assistita da una buona dose di fortuna, ha fatto sì che l’esito della partita non fosse infausto (e, per buona sorte dei bianconeri, i goal decisivi sono arrivati allo scadere, quando non residuava più tempo alle avversarie per imbastire una reazione).
L’indizio più illuminante è costituito dalla gara con il Villarreal, dominata nel primo tempo dal sottomarino giallo: soltanto con l’ingresso di Conceicao la Juve ha cominciato a dettare legge, ma una volta passata in vantaggio, ha avuto paura di vincere. Allo stesso modo, con il Real la prestazione è stata dignitosa, perché non c’era nulla da perdere.
Con Spalletti (e l’intermezzo di Brambilla) la musica è cambiata seppur solo in parte: la circolazione di palla appare migliorata, si sono visti meno errori in fase di “uscita”, di impostazione (la c.d. “costruzione dal basso”), però con la Cremonese comunque sul 2-0 si è registrato un rilassamento, quando la partita sembrava in pieno controllo ed è puntualmente arrivato il goal di Vardy: il pregio degli uomini di Spalletti, stavolta, è stato quello di non disunirsi.
Con lo Sporting si è tornati al solito atteggiamento delle “notti europee”: soggezione totale in fase iniziale e reazione solo nel momento in cui la squadra si è trovata sull’orlo del baratro (la traversa dei lusitani ha impedito uno 0-2 che avrebbe di fatto posto fine alla contesa dopo un quarto d’ora).
Non si nega che Rui Silva si sia reso protagonista di interventi prodigiosi, ma resta il fatto che, una volta esauritasi l’inerzia positiva, nella ripresa la squadra sia ripiombata in una sorta di abulia: anche in questo caso, “spacciare” la gara con lo Sporting come una grande prestazione crea false illusioni, perché in condizioni di normalità, di equilibrio, manca brillantezza. Solo la disperazione genera reazioni, talvolta confusionarie, ma comunque arrembanti.
E poi c’è un problema di condizione fisica: è vero che non si può pensare di giocare tutti i novanta minuti al livello massimo, ma a metà ripresa spesso le telecamere si soffermano su un Yildiz “boccheggiante”, segno evidentemente che la preparazione fisica (magari complice anche il Mondiale per club) è stata deficitaria.
Affrontare il derby stavolta non sarà semplice, perché questo Toro è solido ed è stato capace, dopo il tracollo iniziale con l’Inter, di battere la Roma in trasferta e la capolista Napoli tra le mura amiche.
Ecco perché Spalletti dovrà fungere da psicologo e da direttore sportivo e da Dirigente, oltre che da allenatore, nel deserto di una Dirigenza totalmente assente.

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