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sabato, Giugno 28, 2025
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Concetto Lo Bello il mito in giacchetta – Prima parte

IMPORTANTE: Questa è un’intervista immaginaria su colui che è considerato il più grande arbitro di calcio italiano di tutti i tempi simulata e realizzata con l’ausilio dell’Intelligenza artificiale e nello specifico grazie al supporto della LLM di Claude Sonnet di Anthropic: Le domande sono formulate da Carlo Bianchi


Italiadeiderby: Commendatore Lo Bello, è un onore poterla intervistare. Lei è considerato il più grande arbitro italiano di tutti i tempi. Come ha iniziato la sua carriera?

Lo Bello: Buongiorno. Sa, tutto iniziò nel 1944, in tempi difficili per l’Italia. Avevo 20 anni quando diressi la mia prima partita. La guerra era ancora in corso, ma il calcio non si fermava. Quello era un altro calcio, un altro mondo. Non c’erano le telecamere a scrutarti, non c’erano i replay. L’arbitro era l’unico giudice in campo e la sua autorità non veniva mai messa in discussione.

Italiadeiderby: Lei è famoso per il suo rigore e la sua autorità in campo. Come riusciva a farsi rispettare dai giocatori?

Lo Bello: Con la personalità, caro mio, con la personalità! Un arbitro non può avere dubbi. Se fischi, devi essere convinto al cento per cento. I giocatori percepiscono l’incertezza come i cani sentono la paura. Io entravo in campo sapendo di essere il padrone assoluto di quelle due ore di gioco. Non ammettevo proteste. Un mio sguardo bastava a zittire anche i giocatori più focosi. La mia filosofia? Prevenire più che punire. Ma quando c’era da punire, non mi sono mai tirato indietro.

Italiadeiderby: Nel corso della sua carriera ha diretto 328 partite in Serie A, un record rimasto imbattuto per decenni. Quale considera la partita più difficile che ha arbitrato?

Lo Bello: Ne ho dirette tante di partite difficili, ma forse la più complicata fu il derby di Milano del 1970. L’atmosfera era elettrica, lo stadio era una bolgia. In quelle partite non conta solo la tecnica arbitrale, conta la capacità di gestire le emozioni, le tue e quelle dei giocatori. Ricordo anche la finale di Coppa dei Campioni del 1968 tra Manchester United e Benfica. Essere scelto per una finale europea era il riconoscimento della qualità del nostro arbitraggio italiano.

Italiadeiderby: Lei è stato anche un importante dirigente sportivo e politico a Siracusa. Come ha conciliato queste attività con l’arbitraggio?

Lo Bello: Con disciplina e organizzazione. Vede, l’arbitraggio mi ha insegnato a prendere decisioni rapide e definitive, qualità che mi è tornata utile anche nella vita pubblica. A Siracusa sono stato consigliere comunale, assessore, presidente del CONI provinciale. Ho sempre creduto che lo sport fosse un veicolo di valori civici. Per me, il calcio non era solo un gioco, ma una scuola di vita.

Italiadeiderby: È vero che era soprannominato “la belva nera”?

Lo Bello: (sorride) Sì, ma non mi è mai dispiaciuto. Meglio essere temuti che compatiti. I soprannomi li danno a chi lascia il segno. “La belva nera”, “il Commendatore”… indicavano rispetto, non antipatia. Anche i tifosi che mi fischiavano in realtà riconoscevano la mia autorità. E sa una cosa? Anche quando ero severo, ero sempre giusto. L’imparzialità era il mio credo.

Intervistatore: Commendatore, molti sostenevano che lei fosse troppo severo con i difensori, favorendo così gli attaccanti. Corrisponde a verità questa impressione?

Lo Bello: (si sistema la cravatta con un gesto deciso) Questa è un’accusa che mi è stata rivolta spesso, soprattutto dai tifosi delle squadre i cui difensori avevo punito. Ma vede, il mio principio è sempre stato semplice: proteggere il gioco, proteggere lo spettacolo.

Nel calcio degli anni ’60 e ’70, i difensori avevano sviluppato tecniche di marcatura che oggi sarebbero impensabili. Si parlava di “marcatura a uomo”, ma spesso era una marcatura “all’uomo” nel vero senso della parola! Le famose “marcature alla Burgnich” o “alla Bearzot” erano feroci, quasi violente.

Io ho sempre interpretato il regolamento per difendere il gioco e non il giocatore che vuole interromperlo. Un tackle da dietro, una trattenuta prolungata, un intervento sulle gambe anziché sul pallone: per me erano falli. Semplice. Se questo mi ha fatto sembrare più severo con i difensori, pazienza. Ma le assicuro che non ho mai favorito gli attaccanti per principio.

Lei deve capire una cosa: io amavo il calcio come spettacolo, come espressione di bellezza. E cosa c’è di più bello di un attaccante che dribbla, di un passaggio filtrante, di un tiro al volo? Per questo ho sempre cercato di punire chi interrompeva il flusso del gioco con mezzi scorretti.

E le dirò di più: molti difensori mi rispettavano proprio per questo. Sapevano che con Lo Bello in campo non si potevano permettere certe scorrettezze. Dovevano essere più tecnici, più puliti. E questo, alla fine, ha contribuito all’evoluzione del ruolo del difensore in Italia, da semplice “spadone” a giocatore tecnico capace anche di impostare. Quindi sì, ero severo, ma per il bene del calcio, non contro qualcuno.

Italiadeiderby: Ha mai commesso errori di cui si è pentito?

Lo Bello: Un arbitro è un uomo, e l’errore fa parte della natura umana. Certo che ho commesso errori. Ma mai in malafede, questo posso giurarlo. E mai per mancanza di attenzione o preparazione. Ogni partita la studiavo nei minimi dettagli. Conoscevo i giocatori, i loro trucchi, le loro abitudini. L’arbitraggio è anche psicologia. Pentirsi? No, non serve a nulla. Si impara dagli errori e si va avanti, più forti di prima.

Fine prima parte

Consulta la scheda della carriera di Concetto Lo Bello su numeridelcalcio.com


Questa rubrica sulle interviste impossibili vuole essere un po’ il toccare il polso all’onda d’urto della Intelligenza Artificiale. La chiacchierata con Concetto Lo Bello, è divisa in due parti: Le domande sono formulate attraverso l’IA da Carlo Bianchi, mentre Fabio Lo Cascio si è occupato della interlocuzione con l’IA. Naturalmente spazio aperto a qualsiasi contraddittorio. 

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